Progettare una presentazione

Aggiornamento del 5 Giugno 2009: ho scritto presentazioni che funzionano dopo l’esperienza a Better Software

Aggiornamento del 10 Maggio 2009: ho caricato le slide e l’audio del mio intervento a Better Software

Il 6 e 7 maggio sarò a Firenze per Better Software, conferenza dedicata ai diversi approcci alla programmazione, a parlare di project management e in particolare di project management 2.0.

Sto realizzando in questi giorni la presentazione che includerà alcune indicazioni relative all’uso di strumenti collaborativi in supporto al team  e una panoramica su come sta cambiando il ruolo del project manager (o, forse, di come stia finalmente convergendo verso la propria ragion d’essere).

Se siete interessati a partecipare all’evento potete avere una piccola riduzione del 10% sul biglietto di ingresso utilizzando il codice W6FBCEYK, valido per i primi 10 partecipanti.

Preparare la presentazione mi ha dato modo di rileggere alcuni testi che ho trovato particolarmente utili e anche di studiarne di recenti.

Beyond Bullet Points – Cliff Atkinson

Quello di Cliff Atkinson è stato uno dei primi testi a diffondere la cultura di presentazioni terse e d’ispirazione contrapposte a slide monotone e straripanti di informazioni. Per farlo l’autore suggerisce l’analogia tra una presentazione e la realizzazione di un film, che procede tra le fasi di definizione delle ideee, stesura dello storyboard e scrittura del “copione”.

Interessante l’approccio che prevede lo sviluppo della presentazione in 3 livelli di dettaglio, il primo da pochi minuti, l’ultimo da 45, così da poter procedere per macro idee fino allo sviluppo dell’intera presentazione.

L’idea del paragone con il film è buona, anche se a volte è forse tirata per i capelli.  Utili anche le indicazioni per realizzare contestualmente alla presentazione (non alla fine!) le pagine di note da distribuire al pubblico.

Lo strumento di riferimento del libro, trattandosi di un testo pubblicato da Microsoft Press, non poteva che essere Powerpoint.

Slide:ology – Nancy Duarte

Un testo recente quello di Nancy Duarte, che si distingue per l’impaginazione curata nel minimo dettaglio, caratteristica evidente fin dalla pagina dei ringraziamenti, solitamente presentata come sterile lista separata da virgole.

E la cura manicale dei dettagli non è casuale, visto che al design e all’aspetto grafico della presentazione è dedicata la maggior parte di questo manuale, con indicazioni precise riguardo l’iconografia, i font, i colori, le foto e le illustrazioni.

È, quindi, un testo che completa il materiale riportato in Beyond Bullet Points. Tra le sezioni più interessanti, probabilmente quella dedicata alla semplificazione, smontaggio e ricostruzione di concetti di una certa complessità sfruttando diagrammi e successive sequenze di presentazione.

Tutto spiegato magistralmente, ma terminerete forse il testo con l’impressione che realizzare quanto suggerisce l’autrice non vi costerà solo in termini di tempo, ma anche di professionisti in grado di realizzare design di un certo impatto.

Come si presenta con le slide – Giacomo Mason

È questo un volumetto di qualche anno fa e che fa spesso capolino sulla mia scrivania complici le dimensioni contenute.

Mason non ha estirpato i punti elenco dalle presentazioni che illustra, ma vi aiuta a organizzarli con criterio, partendo dalla soluzione per arrivare ai dati di supporto, con l’ormai nota tecnica piramidale che vede illustrato per primo l’aspetto principale e per ultimo il dettaglio.

Il punto di forza del testo sono gli esempi (positivi e negativi) e le ottimi indicazioni per la presentazione di dati tabella.

Understanding Comics – Scott McCloud

Un fumetto in aiuto alle presentazioni? In realtà Understanding Comics non è un fumetto – o, meglio – è un testo che aiuta a comprendere come funzionano gli elementi che compongono un fumetto… ed è sviluppato in forma di fumetto.

Volete dare un po’ di “movimento” alle vostre presentazioni, capire quando esprimere un concetto in 3 slide invece che una, decidere quanto spazio lasciare al testo e quanto alle immagini? Qui si trovano le risposte.

Scott McCloud è conosciuto anche per avere realizzato il fumetto di presentazione di Google Chrome.

Presentation Zen – Garr Reynolds – In lettura

Non ho ancora finito Presentation Zen, ma ho ritrovato finora molti degli elementi espressi in Slide:ology, dalla semplificazione delle slide alla rivendicazione del ruolo dello spazio bianco, dalla cura del design all’accorto uso di foto e illustrazioni.

Ho sbirciato però gli ultimi capitoli dedicati al momento della presentazione e all’interazione con il pubblico che mancano negli altri testi (anche se Mason fornisce qualche suggerimento) e vi ho trovato ottime indicazioni.

Un testo quindi che promette bene, anche se forse non a livello del blog di Reynolds.

Un anno di letture – prima parte

Le vacanze di Natale sono per me l’occasione per terminare alcune letture professionali, soprattutto libri, che da un po’ di tempo aspettano di essere concluse. Di alcuni di questi libri parlo qui, lasciando a futuri interventi gli altri.

Più che recensioni si tratta di un insieme di spunti che ho trovato particolarmente utili nel mio lavoro, anche se in alcune occasioni non nascondo la delusione nel trovarmi di fronte a qualche prodotto che avrebbe potuto essere migliore.

Di solito non lascio questi libri intonsi: mi piace sottolineare frasi e paragrafi che ho trovato significativi, e che in qualche caso riporterò.

The cult of the amateur – Andrew Keen

Non si può certo dire, dopo averlo ascoltato al Le Web 3, che Andrew Keen sia una persona che sprigioni simpatia.

The cult of the amateurLo stesso tono si trova anche nel libro che ha scritto lo scorso anno, il cui sottotitolo la dice lunga: “How today’s internet is killing our culture”.

La tesi di Keen è presto detta: il web 2.0 è un’accozzaglia di contenuti il cui valore è paragonabile a quello della spazzatura, anche Wikipedia non si salva; la nascita dei siti di social networking non ha fatto altro che spostare gli incauti fruitori di informazione da siti giornalistici rinomati e specializzati a fonti di dubbia professionalità, portando alla morte diverse testate; combattere contro i contenuti liberi, anche se scadenti, è impossibile per le grandi major discografiche e cinematografiche.

Un testo da evitare, quindi? Tutt’altro. Al di là di queste e altri frasi sensazionalistiche, il libro di Andrew Keen evidenzia correttamente alcuni aspetti ancora poco chiari dell’economia basata su questo web 2.0.

Keen si chiede per esempio chi siano i proprietari di tutto il contenuto che produciamo con tutte queste piattaforme di social networking. Sottolinea anche la necessità, soprattutto per i più giovani, di maturare una forte coscienza critica che permetta di discernere tra la moltitudine di contenuti a disposizione, piuttosto che soffermarsi alla prima fonte trovata.

Qualche citazione

  • Giornali e riviste, tra le più affidabili fonti di informazione del mondo in cui viviamo, stanno crollando, grazie ai blog gratuiti (pagina 8, mia traduzione)
  • Chi è il proprietario del contenuto creato [su Myspace]? Questa definizione nebulosa di proprietà, unita alla facilità con cui possiamo copiare e incollare il lavoro di altri come se fosse nostro, è risultato in una serie di appropriazioni della proprietà intellettuale (pagina 23, mia traduzione)
  • Il culto dell’amatore fa si che sia difficile capire quale sia la differenza tra lettore e scrittore, tra artista e manipolatore, tra amatore ed esperto. Il risultato? Il declino della qualità e affidabilità dell’informazione che consumiamo (pagina 27, mia traduzione)
  • Ogni casa discografica defunta, ogni reporter lasciato a casa, ogni libreria chiusa sono la conseguenza del contenuto libero generato dagli utenti in internet (pagina 27, mia traduzione)
  • Ogni visita all’informazione libera di Wikipedia significa un cliente in meno per un’enciclopedia professionale come l’enciclopedia Britannica (pagina 29, mia traduzione)
  • Il talento è una risorsa limitata. Non troverete del talento dietro l’individuo annegato nel suo pigiama davanti al computer, che se ne esce con assurdi interventi nel suo blog o recensioni anonime di film. Alimentare il talento richiede lavoro, capitale, esperienza, investimenti. Richiede l’infrastruttura dei media tradizionali – i talent scout, gli agenti, gli editori, i pubblicisti, i tecnici, il marketing. Il talento è costruito dagli intermediari. Se togliete gli intermediari, togliete anche lo sviluppo dei talenti. Ecco perché l’economia espressa in “The long tail” di Chris Anderson è sbagliata (pagina 32/33, mia traduzione)
  • Su Wikipedia, 2 più 2 a volte fa 5 (pagina 40, mia traduzione)
  • Nel culto dell’amatore, quelli che sanno di più possono essere soffocati da quelli che sanno di meno (pagina 43, mia traduzione)
  • L’informazione gratuita non è gratuita, perché dobbiamo considerare il tempo speso per leggerla con occhio scettico (pagina 46, mia traduzione)
  • La responsabilità di un giornalista è quella di informarci, non di conversare con noi (in risposta a We The Media di Dan Gillmor, pagina 49, mia traduzione)
  • Google è un parassita, perché non crea contenuto (pagina 135, mia traduzione)

Voto

6.5 su 10

Si consiglia di consumare in abbinamento con

  • We the Media, di Dal Gillmor
  • The Long Tail, di Chris Anderson
  • Cultura Convergente, di Henry Jenkins (recensione in questo stesso intervento)
  • Arcipelago Web, di David Weinberger (recensione in L’eredità di Small Pieces Loosely Joined)

Altre informazioni

The cult of the amateur, di Andrew Keen, pubblicato da Doubleday, circa 230 pagine, 22.95 dollari

Cultura convergente – Henry Jenkins

Cultura convergentePer chi ha trovato semplicistico e fuorviante quanto raccontato da Andrew Keen in “The cult of the amateur” viene in aiuto, quasi troppo, questo libro di Henry Jenkins. In questo testo si parla di come i produttori di media (televisione, cinema, editoria) sempre più utilizzino mezzi diversificati per fidelizzare i propri utenti e di come, allo stesso tempo, i fan di questi prodotti utilizzino gli stessi media per amplificare e arricchire la loro esperienza.

Ogni capitolo, in questo libro, ruota intorno al dualismo (a volte in contrapposizione, altre in partecipazione) tra azienda produttrice e consumatore, più che altro consumatore affezionato e appassionato, vero e proprio fan.

Appassionati della serie televisiva “Survivor”, che condividono via web le loro analisi per cercare di scoprire, prima che sia reso noto a più, chi ha vinto il reality, e in quale location è stato girato. Appassionati di “American Idol”, tanto appassionati da essere ricercati dagli sponsor della trasmissione. Appassionati di “Star Wars”, che realizzano film amatoriali, alcuni dei quali con effetti e sceneggiature di tutto rispetto (come per esempio Star Wars Revelations). Ragazzini appassionati di Harry Potter che realizzano racconti e avventure che trattano temi secondari rispetto alla saga, ma non per questo meno importanti.

In alcuni casi queste produzioni amatoriali non sono viste di buon occhio da chi detiene il copyright, aziende con il timore di perdere il controllo su quella che considerano essere la loro gallina dalle uova d’oro. Qui rientra la maggioranza dei casi. In pochi altri invece, dopo una prima fase di cautela, le aziende produttrici si sono dimostrate tolleranti riguardo le produzioni dei loro fan, fino ad arrivare a coinvolgerli attivamente, mettendo loro a disposizione materiale dedicato e promuovendo concorsi e incontri. Sempre, però, definendo chiaramente i limiti da non superare. Le aziende produttrici si stanno comunque rendendo conto che lo zoccolo duro dei propri utenti, i veri e propri fan, sono la fonte più preziosa di guadagno, sia diretto, sia indiretto, grazie alla visibilità che i gruppi di utenti oggi riescono a raggiungere grazie a strumenti quali il web.

Jenkins cita nel libro un testo scritto da Peter Walsh (e recuperabile in internet, That Withered Paradigm: The Web, the Expert, and the Information Hegemony) e che tratta della differenza tra “il paradigma dell’esperto” e “l’intelligenza collettiva”, cioè di come internet e i media sociali stiano cambiando il modo di intendere il ruolo della competenza e professionalità. Una lettura consigliata.

Quello di Jenkins è un testo che non sembra avere dirette influenze verso chi sviluppa un sito web, ma solo a prima vista. Penso in particolare alla corposa sezione in cui Jenkins sottolinea l’importanza, per un’azienda, di non considerare i diversi media con cui si presenta ai clienti come compartimenti tra loro stagni.

Certo, Jenkins fa riferimento prima di tutto alle produzioni cinematografiche di Hollywood e ad esempi come la trilogia di Matrix, in cui il film, il videogame, i cartoni animati e i fumetti sono stati progettati come facenti parte del medesimo universo. In realtà questo dovrebbe essere vero anche per il sito dei nostri clienti. Quante volte ci troviamo a lavorare con foto e contenuti che sono stati pensati esclusivamente per il cartaceo, senza che qualcuno si sia preoccupato (in tempi “non sospetti”) di realizzare il materiale da utilizzare anche per il sito web?

Cultura convergente è un testo appassionante, soprattutto perché chi lo scrive è prima di tutto un fan e non lesina aneddoti e “casi studio” davvero curiosi. A dire il vero si sarebbe potuto forse rinunciare ad approfondire così nel dettaglio i diversi esempi, senza per questo togliere importanza al lavoro dell’autore. Unica vera nota negativa la presenza di svariati refusi nella traduzione italiana.

Qualche citazione

  • La convergenza tra media è molto più che un semplice cambiamento tecnologico, alterando invece i rapporti tra i pubblici, i generi, i mercati, le imprese e le tecnologie esistenti (pagina XXXIX)
  • La convergenza è sia un processo discendente, dall’alto verso il basso, guidato dalle corporation, che una dinamica ascendente, dal basso verso l’alto, guidata dai consumatori (pagina XLI)
  • Ciò che tiene unita un’intelligenza collettiva non è il possesso del sapere, ma il processo sociale di acquisizione della conoscenza in quanto dinamico e partecipativo (pagina 34)
  • Quando la gente guarda un programma che le piace, è più sensibile agli spot che vanno in onda (pagina 42)
  • La fedeltà al brand è il santo graal dell’economia affettiva grazie alla “regola 80/20”: per molti prodotti di consumo, l’80% degli acquisti è effettuato dal 20% dei consumatori (pagina 56)
  • Le aziende che allentano il controllo sul copyright attireranno i consumatori più attivi e impegnati, mentre quelle che spietatamente fissano limiti ben precisi si troveranno una fetta sempre più piccola del mercato (pagina 166)
  • La migliore soluzione legale per uscire dalle sabbie mobili potrebbe essere una riforma normativa sull’uso equo, che renda legittima la circolazione di saggi critici e storie a commento di contenuti mediatici, qualora essa sia di origine grassroots e non finalizzata al profitto (pagina 202)
  • I candidati possono costruirsi la propria base su internet, ma hanno bisogno della televisione per vincere le elezioni (pagina 231)

Voto

8 su 10

Altre informazioni

Cultura convergente, di Henry Jenkins – Titolo originale Convergence Culture – pubblicato in italia da Apogeo – 370 pagine – 22.00 euro

Learning jQuery

Learning jQueryIn più di un’occasione ci siamo trovati, lo scorso anno, a realizzare progetti (soprattutto intranet) in cui utilizzare interazioni Ajax più o meno complesse.

Tra i diversi framework disponibili la scelta è caduta su jQuery, più per caso che per scelta accurata. Di documentazione in rete relativamente a jQuery non c’è che l’imbarazzo della scelta. Vista la volontà che sia web designer, sia sviluppatori potessero in futuro lavorare con jQuery, quello che cercavamo era un testo che si proponesse di partire dalle basi, anche visto l’efficace utilizzo delle nomenclature in stile CSS di jQuery, senza dare troppe competenze per scontate.

E Learning Jquery riesce, quasi sempre, a raggiungere questo scopo. Esagererei se dicessi che sia sufficiente conoscere HTML e CSS per padroneggiare i concetti espressi, senza aver mai visto una riga di Javascript. Non è così: Javascript va conosciuto, ma soprattutto è necessaria un’infarinatura sul funzionamento di un linguaggio di programmazione.

Quello che gli autori sono riusciti a fare bene è introdurre i diversi concetto della programmazione in jQuery a progressivi livello di difficoltà, cercando allo stesso tempo di realizzare un esempio didattico completo, nello specifico il catalogo di un sito di ecommerce di libri. L’editore e gli autori hanno anche saputo resistere alla facile tentazione di includere nel testo anche una guida di riferimento, al solo scopo di aumentare il numero di pagine e di conseguenza il costo.

La reference guide esiste però come testo acquistabile a parte, redatto dagli stessi autori ed è decisamente ricca di esempi, anche se la maggior parte è a dire il vero un po’ troppo banale.

Il testo di Learning jQuery nasce per opera degli autori del blog che porta lo stesso nome, learningjquery.com. Poiché è il libro a nascere dopo il sito, e non viceversa, non si corre per fortuna il rischio di trovare interventi fermi a mesi fa; il blog è in realtà molto aggiornato e, indipendentemente che decidiate o meno l’acquisto del testo, è una sicura risorsa di interesse da aggiungere al proprio lettore di feed.

Informazioni

Learning jQuery, di Karl Swedberg, Jonathan Chaffer – edito da Packt Publishing – pagine 380 – 36.99 euro

Organizzare la conoscenza

Organizzare la conoscenzaOrganizzare la conoscenza parla di architettura dell’informazione e quindi potrebbe sembrare che, in qualche modo, “faccia concorrenza” con quella che viene considerata la bibbia dell’architettura dell’informazione: Information Architecture for the World Wide Web di Lou Rosenfeld e Peter Morville. Forse è anche per questo che il testo ha atteso nel mio scaffale un anno buono prima di essere letto.

In realtà così non è. Il respiro di Organizzare la conoscenza è infatti più ampio e abbraccia, oltre al web, anche altri ambiti, come per esempio l’ambito bibliotecario, che è poi la culla dell’architettura dell’informazione.

Può sembrare un controsenso, ma iniziare un testo come questo dalle biblioteche per poi arrivare all’architettura dell’informazione sul web permette di introdurre e approfondire concetti che Rosenfeld e Morville hanno trattato solo marginalmente, rendendo più chiaro quello che è il lavoro di un architetto dell’informazione nel web.

Tra i diversi capitoli, ho trovato particolarmente illuminanti i centrali, il quinto, sesto e settimo. Più che per le definizioni e i concetti espressi (faccette, classificazioni gerarchico-enumerative, tesauri, gerarchie, ecc.), che si ritrovano in Information Architecture for the World Wide Web, sono stati gli esempi a chiarire alcuni dubbi. La directory di Yahoo!, per esempio, utilizza uno schema di classificazione ibrido con categorie non mutuamente esclusive, situazione abbastanza comune per i siti web.

Se avete acquistato Information Architecture for the World Wide Web e sentite di aver bisogno di qualche esempio in più per fissare i concetti appresi, questo testo potrebbe fare al caso vostro.

Informazioni

Organizzare la conoscenza – di Claudio Gnoli, Vittorio Marino, Luca Rosati – edito da Hops Tecniche Nuove – pagine 214 – 18.90 euro

Ajax in action

Il termine Ajax è stato coniato da un anno e non si sono fatti attendere i pesanti manuali che spiegano tutto, ma proprio tutto, su questa architettura.

Di Ajax in Action, pubblicato da Manning, ho fondamentalmente apprezzato il modo con cui sono affrontati, fin dalle prime pagine, gli argomenti.

Invece che cominciare a scrivere qualche banale Hello Word con Javascript gli autori hanno infatti preferito chiarire subito che sviluppare applicazioni Ajax è un compito che richiede competenze specifiche.

Per questo motivo si parla prima di tutto di refactoring, di come utilizzare il più possibile Javascript come linguaggio orientato agli oggetti, e di come utilizzare i pattern di sviluppo in soluzioni Ajax. Crane e soci insegnano cioè come partire con il piede giusto.

Imparare da subito questi concetti ripaga subito dopo, perché gli esempi presentati, anche se semplici, non sono mai banali, e consentono anzi di riflettere un bel po’ su come sviluppare nel modo corretto.

L’unico appunto che mi sento di fare (una nota più che un appunto), è che va bene capire come funziona l’architettura Ajax. Ma forse più che voler approfondire più di tanto quanto presentato nel testo, l’importante è capire che Ajax sarà presto integrato – come ho già detto – all’interno dei diversi framework di sviluppo.

Si spera che in questo modo da produttività nell’utilizzare questo tipo di soluzioni sia destinata ad aumentare sensibilmente.

Ajax in Action – di Dave Crane, Eric Pascarello, Darren James, pubblicato da Manning, 640 pagine