Interfacce che si adattano

Cominciano a comparire nei blog dei relatori alcune delle presentazioni al recente Information Architecture Summit di Las Vegas. E ce ne sono da leggere con attenzione.

Come per esempio quella di Stephen Anderson, “Creating the Adaptive Inferface” che affronta il problema della progettazione di interfacce che non si manifestino allo stesso modo a tutti gli utenti, ma siano in grado di adattarsi alle diverse esigenze, ai diversi usi, e anche al grado di padronanza che con l’uso l’utente è in grado di dimostrare.

L’idea – non nuova – di Anderson è quella di sfruttare le informazioni “involontariamente” lasciate dall’utente nel sito web, come per esempio l’indirizzo di ip (e quindi, con buona approssimazione, la località) e, nel caso di servizi sotto login o che sfruttino i cookie, le variazione nelle attività dell’utente e la frequenza di utilizzo.

Questo permette al software che produce l’interfaccia di evidenziare le sezioni più richieste a scapito di quelle meno utilizzate, di precompilare alcuni campi in base alle preferenze dell’utente e di personalizzare alcune etichette dell’interfaccia.

Il concetto è sicuramente interessante, come lo sono i diversi esempi presentati. Esistono comunque alcuni fattori da tenere in grande considerazione nel progettare questo tipo di interfacce. Il primo, riconosciuto dallo stesso autore, è che l’utente non va spaventato dandogli a vedere che sappiamo molto di lui: l’aiuto dell’interfaccia dev’essere discreto e non superare mai i limiti della cortesia.

A questo aggiungo che esiste un rischio nel modificare il comportamento dell’interfaccia verso un utente col il progredire della sua esperienza, ed è quello di generare dubbi e confusione perché eravamo convinti “che quel pulsante fosse lì” e che “quella funzionalità si attivasse in quel modo”. Anche queste variazioni vanno studiate con molta cautela.

Jakob Nielsen si è redento?

Di Jakob Nielsen si sono dette peste e corna, ma a lui si deve la nascita di interesse nei confronti dell’usabilità web. Chi gli è contro critica a Nielsen un approccio troppo conservatore che lo porta a considerare esempi positivi di usabilità soltanto i siti, come il suo, fatti di solo testo. Famose sono le battaglie di Nielsen contro Flash e in particolare il suo intervento Flash 99% bad.

Nel suo ultimo libro, Prioritizing Web Usability, Nielsen cerca di uscire da questa situazione e analizza, dopo 10 anni, le linee guida che lo hanno reso, nel bene e nel male, famoso.

In usa sezione del manuale vengono presentate le problematiche di usabilità che non sono cambiate in questi anni, tra cui:

  • I link che non cambiano colore quando visitati
  • Il pulsante back che non funziona (attenzione con Ajax)
  • I popup
  • Elementi della pagina che sembrano pubblicità

alcune che sono cambiate un poco, nel senso che sono meno urgenti o non confondo i visitatori del sito

  • Pagine pesanti (grazie alla diffusione della banda larga)
  • Flash (perché i designer hanno imparato a usarlo come si deve)
  • Multimedia e video (grazie ai nuovi computer)

e altre problematiche che secondo Nielsen sono oggi trascurabili

  • Pagine lunghe (gli utenti hanno imparato a scorrere la pagina…)
  • Link che non sono blu (una volta una vero cavallo di battaglia di Nielsen)
  • Registrazione (processo migliorato notevolmente)

In poche parole, secondo l’autore, da un lato i designer sono oggi più preparati nel progettare un sito, dall’altro gli utenti sono ormai in grado di usare senza grossi problemi anche interfacce complesse.

Lo studio di Nielsen e Hoa Loranger, coautrice del testo, si basa su dei test realizzati con una settantina di candidati, anche se loro stessi sottolineano come “le linee guida del libro sono valide nella maggior parte dei casi, ma non per tutti”.

Una concetto che ho trovato interessante riguarda il rapporto degli utenti con i motori di ricerca.

Rispetto a 10 anni fa gli utenti web si trovano ormai a proprio agio con i motori di ricerca. Piuttosto che digitare direttamente l’indirizzo del sito su cui vogliono entrare, preferiscono usare il motore di ricerca come strumento di aiuto. Questo ha fatto sì che il vero protagonista del web diventasse l’homepage del motore di ricerca piuttosto che quella dei tradizionali siti, con una conseguenza, secondo gli autori:

Grazie ai motori di ricerca agli utenti ora interessa trovare quello che cercano, e non si preoccupano del sito in cui trovano questa informazione. Gli utenti vedono cioè il web come un insieme di risorse e non si preoccupano del singolo sito web; sanno che tutto quello che vogliono è disponibile, su un sito o su un altro.

Ecco un buon motivo – che sa di web 2.0 – che sottolinea l’importanza di fare subito buona impressione.

Una delle pecche presenti nel testo è che gli autori parlano di molte cose, fin troppe. Sarebbe bene concentrarsi sull’usabilità dell’interfaccia e dell’interazione piuttosto che mettersi anche a discutere, mutuando i concetti da libri già scritti, di web writing. Poco approfondito anche il discorso sull’ottimizzazione per i motori di ricerca.

Belle invece, come sempre nei manuali di Nielsen, le decine di schermate prese dai siti web in esame. 

Peccato, infine, che il libro sia infarcito di box di approfondimento che invece di puntare a risorse gratuite rimandano – guarda caso – ai report a pagamento della società di cui Nielsen è socio. Sarebbe un atteggiamento perdonabile solo se il libro fosse distribuito gratuitamente.

Proritizing Web Usability (titolo italiano – web usability 2.0 l’usabilità che conta), di Jakob Nielsen e Hoa Loranger, edito da New Riders (editore italiano – Apogeo) – 2006

Guida di stile per il web: un caso pratico

Mi è stato chiesto da più parti di fornire qualche esempio pratico riguardo ai passati interventi a proposito delle guide di stile web per la grafica e i contenuti.

Un esempio interessante è quello proposto dalla australiana Monash University. La loro guida di stile, che integra suggerimenti per la grafica e i contenuti, è davvero molto approfondita e ben strutturata.

Si comincia con un’introduzione rivolta all’audience della guida: web designer, sviluppatori e autori di contenuti dei siti dell’università. Non si tratta quindi di regole generiche che si possono trovare in qualunque buon libro sulla scrittura e design per il web (se interessati potete leggere su Fucinaweb le recensioni degli ottimi Web Word Wizardry, Hot Text – Web Writing That Works e Web Style Guide – Second Edition), bensì di indicazioni specifiche a un sito o a un network di siti.

Altro aspetto affrontato con intelligenza dalla guida è una breve descrizione degli utilizzatori del sito, cioè il pubblico a cui si rivolge. Notate come non vengano sprecate parole inutili: frasi brevi, buon uso degli elenchi puntati, link a risorse. La stessa guida è un ottimo esempio di come scrivere per il web.

Si passa poi ad affrontare il concetto di qualità dei contenuti e del design del sito, cioè cosa non può mancare ai contenuti e come funziona il processo editoriale e di revisione. Visto che alla Monash University offrono corsi che riguardano questi concetti hanno pensato bene di rimandarvi come approfondimento. Da notare anche la bella idea di separare, dedicandoci in una sezione dedicata, tutto quello che riguarda il loro sistema di Content Management (qui troverete informazioni sul software su cui si basa e sui motivi che li hanno portati ad estenderne le funzionalità).

Dopo questi contenuti introduttivi, ma fondamentali, si passa nel vivo della guida. La sezione branding and visual identity prende in rassegna le diverse sezioni del sito, e per ognuna illustra le scelte che sono state compiute per quanto riguarda i colori delle diverse componenti, le modalità con cui riferirsi a altre realtà presenti nell’universo dell’università, il tipo di immagini da usare (con esempi) e regole sul loro impiego.

In navigation e site structure si parla un po’ di information architecture, indicando le diverse tipologie di scheme con cui organizzare le informazioni, che nel caso dell’università sono:

  • alfabetico
  • cronologico
  • geografico
  • per argomento
  • per compito
  • per audience
  • guidato da metafora

Forse questa è l’unica sezione che si sarebbe potuto affrontare con un po’ più di profondità, magari illustrandola con esempi e includendo suggerimento su come organizzare le voci di menù e come etichettarle. Bene invece che alla ricerca e ai metadati sia dedicata un’opportuna voce di menù, vista la sua importanza.

Ai contenuti sono dedicate diverse sezioni e sottosezioni, di cui la principale è content, text and images.

Un’ultima sezione che vale la pena soffermarsi a commentare è quella che riguarda i template web, a cui accennavo in uno scorso intervento. In questa sezione sono presentati i diversi template disponibili per il sito e ne viene suggerito l’uso per le diverse esigenze, con esempi di casi già online. Un’opportuna tabella, davvero un’ottima idea, evidenzia inoltre l’impiego dei fogli di stile sui diversi elementi della pagina. 

Quella dell’università di Monash è una guida di stile davvero completa. Probabilmente per i progetti “di tutti i giorni” è uno sforzo considerevole da affrontare, ma se vi date uno standard di progettazione vedrete che riuscirete a creare un documento di questo tipo, personalizzandolo per il cliente, senza necessariamente passare notti insonni.

Un altro interessante esempio di guida di stile, anche in questo caso di un’università, è la Penn Web Style Guide.