Dal GhiradaBarcamp – Zooppa

Ho ascoltato l’intervento di Davide Lombardi, ideatore di Zooppa. Commento: intervento informale, ma molto abbottonato. L’impressione è che le aziende usino questo tipo di strumenti solo per valutare l’impatto che può avere il loro marchio in un’utenza internet e poi sviluppare, in un secondo tempo, altra pubblicità professionale in internet. Mi rimane ancora il dubbio che, come sostenuto da David Lombardi, internet sia davvero lo spaccato della società, quanto piuttosto di una minoranza in crescita. Non a caso le aziende che sfruttano questi meccanismi usano internet per avvicinare un pubblico di giovani, con prodotti a loro destinati (Pago, Citroen).

Segue la trascrizione/riassunto del suo intervento.

Zooppa è una piattaforma nata in Italia, vicino a Treviso ed è stata presentata all’incubatore H-Farm che l’ha ritenuta valida per un investimento.

Si basa su una variante di UGC (user generated content) rivolta alla pubblicità.

E’ nata come prima versione a marzo del 2007, prima in lingua inglese (internazionale).

Come funziona:

  1. viene contattato un brand che vuole lanciare una gara su Zooppa (Citroen, Pago, Tom Tom). Oggi avviene anche il contrario, il brand contatta Zooppa
  2. si prepara insieme al brand un brief video specificando il messaggio da realizzare (contest)
  3. gli utenti creano il materiale: video (brevi spot), semplici idee, print ad (con Photoshop)
  4. la community vota in una gara di un mese i contenuti migliori
  5. il vincitore riceve il denaro messo in palio per il singolo contest, una parte importante di quello che l’azienda dà a Zooppa

L’azienda che lancia il contest con Zooppa non lo fa poi per riproporlo in altri mezzi. Le aziende sanno che il prodotto gira in maniera libera sul web. La pubblicità è esclusivamente web-oriented.

In Italia solo il 5% degli investimenti in pubblicità sono dedicati al web. All’estero invece siamo al 25%.

Case history: bigliettini distribuiti al supermercato per far votare i propri lavori su Zooppa.

Zooppa è una piattaforma di social advertising:

  1. social il fatto che ci sia un signor “nessuno (David Lombardi) che ha un’idea e trova il modo di farla diventare un progetto.
  2. motivo tecnico: è stato introdotto nei contest un meccanismo sociale. Il team bonus: gli utenti (zoopper) interagiscono tra loro e lavorano in team per il video. In futuro c’è l’intenzione di aprire un canale musicale. L’idea è che ognuno collabori: uno con l’idea, uno con il video, uno con la musica. Il meccanismo di viralità di Zooppa è potente. Gli utenti che ne fanno parte sono 8500.
  3. legato alla filosofia di Zooppa. Anche se non si vuole far concorrenza alle agenzie pubblicitarie, si cerca di portare aventi l’idea di invertire il rapporto tra la comunicazione pubblicitaria e l’utente, nella logica di rendere il cliente partecipe al successo di una campagna, in modo che non sia esclusivamente un elemento passivo

Zooppa, rispetto agli UGC generico (wikinomics, ecc.), va a portare lo UGC nel cuore economico del web, cioè la pubblicità, che oggi regge il web. Un elemento di differenza rispetto agli altri social network è che di solito il profitto in internet è diretto verso i grandi brand (Google, Yahoo!) lasciando poco agli utenti.

Finanziamento del progetto: incubatore tecnologico H-Farm, che ha messo a disposizione le risorse economiche e il know how per creazione azienda e per sviluppo tecnologico. David Lombardi si è presentato da loro con Photoshop. In H-Farm c’è persona che si interfaccia con nuovi progetti. Successivamente è stato creato un business plan, dopo che l’idea è stata ritenuta valida. David Lombardi ha iniziato con una quota societaria del 25%.

Rapporto con le aziende: inizialmente si pensava che ci fossero difficoltà a mettere in gioco il proprio marco in un mezzo ingovernabile come la rete. In realtà Zooppa è caduta in una fase storica in cui le aziende vogliono sperimentare nuove forme di pubblicità.

Aggiornamento: leggi tutti gli interventi di Fucinaweb dal GhiradaBarcamp.

L’eredità di Small Pieces Loosely Joined

Come ho detto dal Le Web 3 di Parigi, l’intervento che forse mi ha colpito di più, indipendentemente dalla sua durata (appena 15 minuti), è stato quello di David Weinberger.

Considero Small Pieces Loosely Joined (Arcipelago Web in italiano), il libro che ha scritto nel lontano (per i tempi web) 2002, una sorta di manifesto del web 2.0. Mi ricordo di averlo acquistato una mattina, per caso, trovandolo in super-svendita in un Autogrill mentre guidavo verso Rimini per lavoro. Da allora è nello scaffale dei testi da ispirazione.

Mi ricordo che quando Tim O’Reilly (quello che ha coniato il termine web 2.0 e fondatore dell’omonima casa editrice) nel suo blog ha chiesto mesi fa ai lettori quali sono i migliori libri del “web 2.0”, gli ho proposto proprio Small Pieces Loosely Joined. Ma Tim non ha gradito e non ha mai pubblicato il mio commento, forse perché gli interessava che si parlasse dei nuovi libri che O’Reilly continua a produrre, molti privi di significato.

Eppure ci sono begli spunti, che ho via via sottolineato in quel testo, alcuni dei quali riporto qui come elenco puntato.

Se siete interessati a comprare il libro, comunque, tenete conto che lo trovate come remainder in molte librerie, come per esempio su BOL.

Ecco alcuni dei punti segnati nella mia copia:

  • Il web infrange il modello tradizionale di redazione e pubblicazione dei documenti, quello incentrato sul controllo
  • Il web unisce in un modo nuovo non semplicemente le pagine di un libro, ma gli esseri umani, tutti noi. Gli “isolotti del’arcipelago web” in realtà siamo noi, che stiamo unendoci gli uni agli altri in modo ancora da inventare, ma chiaramente labili e flessibili
  • sono tra coloro che credono che possiamo essere individui solo in quanto membri di un gruppo
  • sul web riscriviamo noi stessi, ascoltando voci che ci sorprende scoprire nostre[…]Entriamo in contatto con nuovi lati della nostra personalità
  • il web è intrinsecamente un organismo non gestito, e questa caratteristica è risultata uno dei fattori decisivi del suo successo
  • lo spazio del web è infinito nel senso che si può sempre trovare posto, ma non è infinitamente esteso; non è un contenitore in attesa di essere riempito, ma piuttosto un libro che si sta scrivendo
  • la distanza sul web è misurata dai link, per cui per rendere un sito “vicino” ai propri clienti bisogna far sì che vi siano molto luoghi da cui sia possibile accedervi. E come è possibile farlo? Rendendolo valido e interessante
  • sul web la vera capacità di trattenere i visitatori non deriva dalla scomodità, ma dall’interesse
  • sul web tutti saranno famosi per 15 persone [altro che per 15Mbyte, come diceva quella di Google al Le Web 3 non facendo ridere nessuno!]

Potrei continuare, ma termino con un punto per chi si chiede come mai vada di moda apporre il suffisso beta a ogni prodotto che gira sul web: “La rete avrà sempre qualcosa che non funziona. E’ una decisione progettuale”.

Il personaggio dell’anno del Time

Il Time ha eletto noi, chi ha un blog, chi li commenta, chi carica le proprio foto su Flickr, i filmati su Youtube come personaggi dell’anno.

Il cosiddetto grassroots journalism, o giornalismo del popolo, è stata secondo il Time la vera rivoluzione di questo 2006, tanto da meritare la copertina a specchio in cuo ognuno di noi si può riflettere.

Leggendo il settimanale, però, ci si accorge ben presto che al di là di qualche articolo dal taglio molto generalista, neppure il Time sa perché ci ha sbattuto in copertina. L’articolo più corposo è composto da una serie di interviste a chi, persona della porta accanto, è uscito dalla folla conquistando i primi posti in Youtube, su Flickr e MSN Spaces. Carino, ma banale e ripetitivo.

L’unico pezzo degno di nota è probabilmente l’intervista di James Poniewozik ai creatori di YouTube, Chad Hurley e Steve Chen. Lo è perché fa sottolinea una volta di più come l’università americana si sforzi di preparare giovani di meno di trent’anni che le aziende si contendono.

Quando Hurley e Chen sono stati assunti da Paypal, il loro unico lavoro prima di approdare al progetto Youtube, sono stati scelti grazie agli atenei frequentati, grazie alla “formula vincente” del percorso di studio maturato.

Quanti in Italia sarebbero pronti a scommettere su chi è alla prima esperienza?