Progettare e sviluppare per dispositivi mobile

Per lavoro mi sono trovato a dover studiare i principi base dello sviluppo di applicazioni per dispositivi mobili. Ma più che la tecnica, il linguaggio di programmazione, l’aspetto più complesso per chi proviene dal mondo “desktop” è sicuramente la definizione e progettazione dell’interfaccia grafica.

Nelle mie ricerche ho avuto la fortuna di imbattermi in alcuni risorse che mi sento senza dubbio di consigliare.

La prima è il manuale “Designing the Mobile User Experience“, pubblicato da Wiley, che è un’ottima introduzione a questi temi. Secondo l’autrice, Barbara Ballard, il termine “mobile” si riferisce, più che al dispositivo o al software, all’utente e alle situazioni in cui si trova a interagire con queste periferiche.

Questo testo contiene anche utili indicazioni delle differenze con cui i dispositivi mobili vengono usati in Europa, in America e in Asia. Non si tratta semplicemente di variazioni di standard o di protocollo, ma anche di impiego. In America, ad esempio, gli SMS hanno storicamente riscosso minore fortuna che in Europa, a causa di eccessivi prezzi fissati dagli operatori, ma anche per la capillare diffusione della posta elettronica.

La cosa bella di questo manuale è che il capitolo più interessante, il sesto, è in buona parte disponibile anche online sottoforma di wiki. Il capitolo prende in considerazione alcuni pattern di progettazione per i dispositivi mobile, suddivisi in macrocategorie:

  • progettazione dello schermo
  • navigazione all’interno delle applicazioni
  • gestione delle applicazioni
  • pubblicità

Avendo a che fare con dispositivi dalle funzionalità eterogenee, questi sono statti suddivisi in classi di appartenenza. Ciascun pattern fa quindi riferimento a una o più classi, così che sia immediato capire se un pattern è applicabile o meno a una determinata periferica.

Un’altra interessante risorsa, questa volta liberamente scaricabile in formato Pdf, è il documento “Mobile Web Developer’s Guide” scritto da Brian Fling, e si rivolge a chi si proccupi di realizzare siti web che siano accessibili anche ai telefoni cellulari, e in generale alle ultime generazione di dispositivi mobile. Questo testo integra in qualche modo quanto presentato dal manuale della Ballard, avvicinandosi più alle problematiche di sviluppo.

Siti sviluppati da cani, gestiti da gatti

Singolare l’intervento di Gerry McGovern nel suo blog.Paragona designer e sviluppatori di un sito a si cani e chi si preoccupa della gestione ordinaria ai gatti.

Secondo McGovern chi realizza il sito è un cane, perché un cane dà sempre il benvenuto e crede che ogni idea sia una buona idea: ti seguirà senza fare troppe storie per una nuova o piccola avventura.

Ecco allora che il sito viene visto come un attico infinito, in cui c’è posto per tutto: per ogni tipo di contenuto, per qualsiasi percorso di navigazione, per homepage che visualizzano tutto quello che è disponibile. I cani sono anche affascinati dalla tecnologia che impiegano a occhi chiusi, come fosse un osso succulento.

Chi gestisce il sito, invece, ha lo spirito di un gatto. Non pensano certo di doversi rivedere le montagne di contenuto che possono essere ospitate nel sito e scutono la testa davanti alla miriade di percorsi di navigazione che fa perdere la bussola ai visitatori.

La conclusione: abbiamo bisogno dell’entusiamo dei cani, ma anche di far partecipare i gatti alle riunioni di progetto.

Sarà, mi semba una visione un po’ troppo semplice, ma soprattutto legata al concetto di web di una decina di anni fa.

L’utilità dei tag

Luke Wroblewski ha presentato in un suo intervento un diagramma che evidenzia l’utilità dei sistemi di tagging per i singoli individui e per i gruppi di persone.

Con utilità personale si indica il valore che il sistema di tagging acquista per l’individuo che vuole ritrovare i propri tag, mentre con utilità pubblica si intende il valore che un insieme di tag acquista per un gruppo di persone.

Secondo Wroblewki l’impegno richiesto per marcare con tag il contenuto viene ripagato per i singoli quando non esistono sistemi di ricerca affidabili e la frequenza con si vuole recuperare un elemento è elevata.

Lo stesso per i gruppi, ma in questo caso il sistema rimane efficiente anche quando la frequenza di recupero è bassa, quando cioè gli utenti accedono ai tag occasionalmente.

L’interessante concusione di Wrobleski è che questo potrebbe partecipare a spiegare due fattori:

  • il fatto che i tag vengano usati soprattutto per marcare e successivamente recuperare fonti personali
  • l’uso dei sistemi di tag in aree dove solitamente la tradizionale ricerca si dimostra inefficace, come per esempio le foto (flickr) o i bookmark (del.icio.us)