PMBOK e sviluppo agile

A Guide to the Project Management Body of Knowledge (PMBOK) è considerata la bibbia del project management. Bibbia perché si preoccupa di ogni aspetto relativo alla gestione di un progetto utilizzando 5 gruppi di processo (initiating, planning, executing, monitoring and controlling, closing). Bibbia anche per le dimensioni, più di 400 pagine fitte di concetti che spesso spaventano chi si appresta ad affrontare l’esame per diventare Project Management Professional.

Proprio per questa nomea i concetti espressi dal PMBOK sembrerebbero distanti dalla metodologia di sviluppo agile, tanto che ne ho parlato in Domande e risposte sul web project management qualche mese fa.

Da pochi giorni sul sito di Forrester è a disposizione (a pagamento) un interessante report dal titolo The PMBOK and agile: friends or foes? che affronta nel dettaglio la questione.

Partendo dalle differenze tra PMBOK e sviluppo agile gli autori arrivano ben presto a trovare le molte similitudini tra i due approcci, ma è soprattutto la conclusione del report che è condivisibile. Gli autori sostengono infatti che è possibile sfruttare i punti di forza e le peculiarità di entrambi.

In particolare, chi si occupa di metodologie agili può trovare nel PMBOK:

  • un aiuto per definire con chiarezza l’inizio e la chiusura del progetto;
  • una guida per comunicare efficacemente con tutte le figure interessate;
  • indicazioni precise per la gestione delle situazioni a rischio.

Viceversa, la metodologia di sviluppo agile può aiutare i project manager di stampo tradizionale:

  • nella scelta e definizione di ruoli non troppo definiti all’interno del team, facilitando l’apprendimento dai colleghi e coinvolgendo nelle scelte strategiche;
  • a rifinire la pianificazione dei progetti man mano che si procede con lo sviluppo;
  • a stabilire dei forti e sinceri legami di relazione con i clienti;
  • a produrre il “giusto” livello di documentazione.

Ljubljana Barcamp

Quello di sabato scorso a Ljubljana (Slovenia) è stato il primo barcamp a cui abbia partecipato. O, meglio, il primo barcamp a cui abbia partecipato degno di questo nome.

Il successo dell’iniziativa va equamente suddiviso tra gli organizzatori, chi è salito sul palco e chi ha riempito le aule.

Gli organizzatori hanno individuato una formula semplice, ma vincente:

  • 20 minuti di cronometro per ogni intervento comprese le domande, senza possibilità di sforare
  • sessione finale con interventi di 5 minuti senza domande per invogliare anche gli indecisi a partecipare
  • richiesta esplicita di presentare in inglese (perché in Slovenia l’inglese lo sanno, mica come da noi)
  • colazione e pranzo gratuiti e maglietta a 10 euro per finanziare l’evento
  • party serale per concludere tutti insieme la giornata

A ognuno va il merito di aver partecipato attivamente con centinaia di domande, richieste e puntualizzazioni e interventi quasi mai banali.

Un barcamp che ha tanto da insegnare a chi propone eventi simili in Italia:

  • gli organizzatori hanno seguito tutti gli interventi (quando non ne hanno proposto loro stessi), piuttosto che limitarsi a fare public relation;
  • si è rinunciato allo streaming dell’evento (possibilità costosa e inutile visto che un barcamp è fatto di conversazioni) per destinare le risorse a migliorare l’esperienza di chi al barcamp ci è andato;
  • chi è salito sul palco ha sviluppato la propria presentazione perché durasse poco ma soprattutto per dare molti spunti agli interventi di chi segue. E’ facile dire che al barcamp non ci devono essere spettatori, ma bisogna mettere le persone in condizione di partecipare

Tutto questo senza sponsor stratosferici o star di prim’ordine.

Di ritorno da Le Web ’08

Porto a casa alcuni grandi e molti piccoli spunti e idee da Parigi, e non parlo solo degli interventi sul palco. Anzi, se mi limitassi a considerare quelli, sarebbe stato sicuramente più proficuo e meno dispendioso rimanere a casa e assistere all’evento via streaming.

È l’aria che si respira attorno a questo tipo di incontri a essere di forte ispirazione, aria forse dalla temperatura un po’ troppo fredda nel grande ambiente dispersivo di quest’anno e che un tempo era – guarda caso – una camera mortuaria.

Poiché della conferenza e degli interventi ho parlato già molto, mi limito qui a riportare alcune sfumature.

Mi sono presentato la mattina presto tutti e due i giorni e così ho avuto la possibilità, da bravo scolaro, di essere in prima fila insieme a compagni di banco di tutto rispetto: Doc Searls, Michael Arrington e Steve Gillmor.

I miei compagni di banco, Doc Searls e Steve Gillmor

I miei compagni di banco, Steve Gillmor e Doc Searls

Da Michael Arrington ho imparato che anche le polemiche è meglio studiarle e concordarle prima di salire sul palco. Chi lo ha visto durante l’intervista a Marissa Mayer di Google (video e trascrizione) potrebbe essere rimasto di stucco. Senza mezzi termini ha liquidato l’organizzatore Loïc Le Meur lamentandosi del buffet (“Will there be enough food for everyone today?”) e della connessione (“Who has an internet connection here?” 30. “Well, that is about three times more than yesterday”). E in effetti Arrington anche a me ha chiesto a cadenza di circa due minuti se la mia connessione funzionasse o meno. Per carità, doveva aggiornare TechCrunch, mica Fucinaweb.

Era però tutto preparato, perché una ventina di minuti prima, a pochi centimetri da me, organizzatore e Arrington si sono accordati su cosa dire e perfino sulla battuta relativa alla costosa giacca di velluto di Le Meur comprata probabilmente grazie a quanto risparmiato per cibo e connettività.

Da Steve Gillmor ho imparato (anzi, ho avuto conferma) che un intervento in un blog fatto come dio comanda non si scrive in dieci minuti. Ho assistito alla genesi e stesura di Google To Take Chrome Out Of Beta, un pezzo che non supera la cartella (1800 battute). Eppure per scriverlo ha impiegato poco meno di tre ore. Potrei aver letto male (non volevo essere così spudorato da fissarlo e mi limitavo ad alcune sbirciatine), ma il pezzo è addirittura partito per essere un’altra cosa, Google To Release Chrome for Mac. Dal palco devono poi essere arrivate altre notizie ed ecco che Gillmor, in piena concentrazione, ha cominciato a modellare, scrivere, spostare, cucire, eliminare, fino a raggiungere il risultato voluto. Ho anche notato che nel compiere ricerche apriva due finestre allineate in verticale, una con Google e l’altra con Yahoo!. Terminato il pezzo ha preso il suo Macbook Air e si è diretto verso l’ingresso del palco, dove forse ha trovato qualche Googlista che gli ha confermato le informazioni. Infine, non prima di aver mostrato il pezzo a Arrington che nel frattempo ha terminato l’intervista, ha mandato il risultato online.

La vignetta di Hugh MacLeod

La vignetta di Hugh MacLeod

Da Doc Searls ho imparato che il vero sistemista Unix (Searls è tra l’altro senior editor per il Linux Journal) riesce a usare anche un Mac in modalità quasi esclusivamente a carattere. A parte Leopard e un browser, non l’ho visto usare altre applicazioni grafiche, neppure il client di posta (e questo gli ha permesso di superare più facilmente i problemi di connessione).

Ho imparato questo e mille altre cose a Le Web ’08 e ho incontrato molte persone nuove dall’Italia, dalla Francia, dalla Germania, dalla Svezia e dalla Slovenia.

E, prima di uscire, sono passato allo stand Microsoft a salutare Hugh MacLeod, di cui non ho potuto seguire l’intervento, e che è stato così gentile da lasciarmi comunque un ricordo, disegnandomelo sul pass.

Aggiornamento del 15 Dicembre 2008

Volpon osserva lo sketch tra Arrington e Le Meur

Volpon osserva lo sketch tra Arrington e Le Meur (foto di Doc Searls)

In questa foto scattata da Doc Searls ci sono io in primo piano mentre osservo la scena tra Arrington, Gillmor e Le Meur. Arrington si è appena finito di lamentare con Le Muer a proposito della connettività e lo avverte che di questo parlerà una volta salito sul palco.
Tra un paio di minuti Arrington e Gillmor prenderanno di mira la giacca di velluto di Le Meur, altro sketch ripreso successivamente durante l’intervista a Marissa Mayer.
Nessuna polemica tra i due quindi, ed è difficile credere a una rottura del rapporto di amicizia anche dopo le (a prima vista) dure parole espresse in Joie De Vivre: The Europeans Are Out To Lunch e Should Michael Arrington Be Invited Back At LeWeb Next Year?.