Tutti in Silicon Valley

Se in questi giorni avete un quarto d’ora di tempo e volete approfondire alcuni degli aspetti del Future of Web Apps di Londra, soprattutto per quanto riguarda il futuro delle startup (su Fucinaweb ci sono molti appunti dai diversi interventi della due giorni), vi consiglio la lettura di una piccola polemica tra Paul Graham, fondatore di Y Combinator, e Ryan Carson, uno degli organizzatori dell’evento.

Y Combinator, per chi non lo sapesse, è una società che investe in giovani startup. Elargisce fondi, nell’ordine dei 5000 dollari, più 5000 dollari per ogni socio fondatore, e in cambio richiede quote societarie (maggiori informazioni sono disponibili in una FAQ sul loro sito, scritta con un tono diretto, ma anche un po’ detestabile).

A Londra mi sono perso gran parte dell’intervento di Paul Graham, anche se qualcosa ho scritto, ma fortunatamente lo stesso Graham ha pubblicato sul suo sito un lungo articolo sull’argomento. Lungo, ma che merita una lettura attenta, perché parla di come, nel pensiero di Graham, le startup stiano diventando una commodity, nascono cioè come funghi e con poche risorse. Graham sottolinea anche come già oggi stiano emergendo standard rivolti alle startup, come quelli relativi alle acquisizioni, con Google in testa.

Un punto però non è stato digerito da Ryan Carson. Secondo Graham far crescere una startup in Silicon Valley fa una bella differenza, perché è un’area specializzata per interagire, comunicare, discutere. Perché, detta in soldoni, sono tutti lì, e trovarsi faccia a faccia con chi può aiutare è fondamentale. Graham ha quindi consigliato senza indugi a chi sta pensando a una startup di fare armi e bagagli e spostarsi lì.

Finito il discorso di Graham avevo in effetti intravisto un Carson agitato sul palco che, da buon inglese e senza far passare troppo tempo, si diceva in disaccordo con la tesi del collega americano. Carson sostiene, e non potrebbe essere altrimenti, che la location non fa poi troppa differenza, ma la differenza è nelle idee.

Entrambi hanno poi replicato nei rispettivi siti, prima Graham, poi Carson. Leggete le interessanti tesi, ma sappiate – come è facile immaginare – che non hanno cambiato posizione.

Chi ha ragione? Probabilmente, come sempre, tutti e nessuno. Ritengo che far crescere una startup in Silicon Valley porti con sé qualche vantaggio se l’idea è buona, ma soprattutto innovativa. E sono convinto che lavorare in quel contesto permetta di chiarire le proprie idee e di confrontarsi su temi altrimenti solo ipotizzabili. Ma non è detto che una startup debba per forza essere venduta dopo sei mesi a Google, esiste forse qualche possibilità per realizzare idee in altri contesti (cioè luoghi), soprattutto se queste riguardano aspetti più legati all’intrattenimento e alla cultura, piuttosto che l’informatica “spicciola”, come oggi succede per molte startup.

E voi, avete qualche idea in proposito?

4 pensieri su “Tutti in Silicon Valley

  1. @Paul – Con “un po’ detestabile” ho dato un’opinione sul tono della FAQ, che ho trovato in qualche modo “rude”.

    Avete messo delle regole rigide per chi vi vuole contattare (e questo è perfetto), ma penso che anche alcune risposte tengano a una certa distanza gli interlocutori.

    Alcune risposte (come per esempio Why didn’t you accept our application?) sono un po’ irritanti (come se ci fosse scritto “La vostra startup fa schifo ma può succedere, una volta su un milione, che sbagliamo anche noi a valutarvi”).

    Però sai, questo può essere semplicemente un problema di culture differenti.

    Gli italiani sono famosi per essere accomodanti, forse troppo accomodanti.

  2. Il commento che vedete qui sopra l’ho spedito via email, e in inglese, allo stesso Paul Graham.

    Ecco cosa mi ha risposto:

    If you give me a list of the ones that sound rude, I’ll take a look at them and see if I can make them friendlier.

    Bene, io mi metto al lavoro e gliele mando, vediamo cosa succede.

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