URL per i comuni mortali

Ho acquistato qualche giorno fa una copia del settimanale tedesco Der Spiegel. In copertina si parla di internet. “Macht Das Internet Doof?” cioè “Internet rende stupidi?”, in riferimento all’articolo di Nicholas Carr “Is Google Making Us Stupid?” pubblicato da The Atlantic e di cui tanto si è discusso.

Non è stato il contenuto ad aver colpito la mia attenzione, ma il modo con cui, sia in copertina sia qualche pagina all’interno, il lettore è inviato a partecipare al forum online. Non qualche link anonimo, o in qualche forma incomprensibile come http://forum.spiegel.de/showthread.php?t=4813, ma un semplice, chiaro ed efficace www.macht-das-internet-doof.de. Nient’altro che un redirect di rimando a un thread del forum, ma che stampato sulla carta fa la sua bella figura, è sicuramente semplice da ricordare e probabilmente aiuta anche con i motori di ricerca.

Eppure in molti giornali e riviste, soprattutto italiani, siamo distanti anni luce. Il link, quando c’è, va a capo più volte, è incomprensibile, oppure è errato. E, immancabilmente, inizia con http://. Probabilmente presto attenzione a queste cose perché ho lavorato 6 anni per i periodici di una casa editrice, ma leggo che anche altri, come Tina Spacey sul blog di Internazionale, stanno combattendo la stessa microbattaglia.

Non si può (ancora) cliccare sulla carta, per cui gli URL stampati devono essere semplici da scrivere e da ricordare. URL per gli umani, e non per i computer. Se i DNS sono stati inventati per tradurre 123.123.123.123 in www.sito.it, un motivo ci dovrà pur essere.

Fucinaweb diventa testata giornalistica

Da qualche settimana questo sito è registrato in tribunale come testata giornalistica online.

L’ho fatto perché ho qualche idea, ancora da focalizzare con chiarezza, riguardo il futuro di Fucinaweb. Ma anche per curiosità, per capire se e quanto sarebbe stato semplice, e a che costo.

Non ho avuto troppe sorprese rispetto alle mie supposizioni. Ho incontrato persone disponibili, ma davvero poco preparate sull’argomento internet e sulle peculiarità di un sito rispetto a una rivista cartacea. Ho pazientato mesi, passati tra il comune, il tribunale e le sale d’aspetto in attesa in una firma. Ho speso, tra marche da bollo e tasse di iscrizione, più di quanto pensassi.

Iscrivere un sito come testata giornalistica online

Una testata giornalistica ha sempre tre riferimenti:

  • un proprietario, persona fisica o giuridica
  • un editore, anch’esso persona fisica o giuridica
  • un direttore responsabile

Il direttore responsabile, in particolare, è una persona iscritta all’ordine dei giornalisti. Per Fucinaweb il direttore responsabile sono io, in quanto giornalista iscritto all’ordine del Veneto. Nel caso più semplice, il mio, direttore responsabile, editore e proprietario sono la medesima persona.

L’iscrizione della testata avviene per autocertificazione del proprietario e del direttore responsabile, compilando due moduli da presentare in carta bollata alla cancelleria del tribunale presso cui si vuole iscrivere il sito. Per quanto mi riguarda, impersonando sia il ruolo del proprietario sia quello di direttore responsabile, è stata sufficiente una sola richiesta.

Oltre alle complete generalità dei 3 soggetti la domanda deve includere

  • titolo, url, contenuto e periodicità della testata
  • ragione sociale e partita iva del service provider, nonché gli estremi del decreto di autorizzazione del decreto del Ministero delle Comunicazioni 

Prestate attenzione che potrebbe essere necessario, come nel mio caso, richiedere il permesso al service provider presso cui gestite il dominio prima di iniziare le procedure di richiesta di iscrizione. E’ sufficiente inviare una email di richiesta indicando l’argomento trattato dal sito. 

Poiché sono richiesti gli estremi del decreto del Ministero delle Comunicazioni, sulla cui presenza il tribunale – ho potuto verificare – si è dimostrato molto sensibile, c’è da chiedersi se sia possibile iscrivere comunque il sito come testata giornalistica se il service provider non è italiano. Nutro qualche dubbio in proposito, anche se non ho esperienza diretta in tal senso.

Chi fosse interessato a un modulo già pronto da compilare, può scaricare una versione che ho realizzato in formato RTF.

La spesa complessiva, tra tasse di iscrizione e marche da bollo, supera i 200 euro da versare una tantum.

Il saccheggio dei blog

Curioso il modo con cui siti come repubblica.it o corriere.it hanno gestito le notizie legate all’uccisione in autogrill del tifoso laziale o all’assassinio della ragazza inglese a Perugia.

I protagonisti di queste storie avevano una presenza in internet, una pagina su Facebook o un blog e l’informazione è ben presto arrivata ai giornali.

Sarebbe stato lecito aspettarsi che gli articoli pubblicati in questi giornali online contenessero qualche rimando al blog, per esempio una selezione di link verso interventi che cercassero di spiegare comportamenti o passioni di questi ragazzi. E’ quello di cui Dan Gillmor parla in We the media, cioè il ruolo del giornalista come editor, selezionatore e propositore delle fonti:

I take it for granted that my readers know more than I do, and this is liberating, not threatening. Our core values, including accurancy and fairness, will remain important. Our ability to shape larger conversations will be at least as important as our ability to gather facts and report them.

E’ però molto difficile trovare i link ai blog in questi articoli, se non nascosti in fondo a qualche spalla del sito o annegati alla fine della pagina. Quello che in realtà è successo è che i giornalisti si sono appropriati dei contenuti copiandoli nei propri articoli, saccheggiandoli. Sono state saccheggiate le frasi da riportare in brevi articoli di contorno e sono state saccheggiate soprattutto le foto, finite a comporre gallerie fotografiche al solo scopo di aumentare le pageview del giornale. Sarebbe stato più corretto, oltre che più semplice, riportare un link al blog, eppure non è quasi mai stato fatto.

E’ questo a cui serve un blog, i nostri blog? A fornire materiale pronto all’uso per redattori insonnoliti e pigri? I contenuti di un blog hanno senso se analizzati nel complesso, mentre un solo intervento, isolato dal resto, non ha valore.

E pensare che molti di questi giornali online sono convinti di utilizzare una struttura innovativa, a blog. Ma di blog c’è – per l’appunto – solo la forma, non il contenuto.

Non è una novità. Lo stesso David Weinberger, durante il suo intervento allo IAB Forum la scorsa settimana (ma anche in quello dell’anno scorso a Parigi), lamentava l’atteggiamento di alcuni siti, come quello del New York Times, realtà in cui perfino i banner portano nuovamente a una pagina interna del sito.

Non sarà una novità. Ma ogni volta che vedo questi comportamenti mi auguro sia l’ultima.