URL per i comuni mortali

Ho acquistato qualche giorno fa una copia del settimanale tedesco Der Spiegel. In copertina si parla di internet. “Macht Das Internet Doof?” cioè “Internet rende stupidi?”, in riferimento all’articolo di Nicholas Carr “Is Google Making Us Stupid?” pubblicato da The Atlantic e di cui tanto si è discusso.

Non è stato il contenuto ad aver colpito la mia attenzione, ma il modo con cui, sia in copertina sia qualche pagina all’interno, il lettore è inviato a partecipare al forum online. Non qualche link anonimo, o in qualche forma incomprensibile come http://forum.spiegel.de/showthread.php?t=4813, ma un semplice, chiaro ed efficace www.macht-das-internet-doof.de. Nient’altro che un redirect di rimando a un thread del forum, ma che stampato sulla carta fa la sua bella figura, è sicuramente semplice da ricordare e probabilmente aiuta anche con i motori di ricerca.

Eppure in molti giornali e riviste, soprattutto italiani, siamo distanti anni luce. Il link, quando c’è, va a capo più volte, è incomprensibile, oppure è errato. E, immancabilmente, inizia con http://. Probabilmente presto attenzione a queste cose perché ho lavorato 6 anni per i periodici di una casa editrice, ma leggo che anche altri, come Tina Spacey sul blog di Internazionale, stanno combattendo la stessa microbattaglia.

Non si può (ancora) cliccare sulla carta, per cui gli URL stampati devono essere semplici da scrivere e da ricordare. URL per gli umani, e non per i computer. Se i DNS sono stati inventati per tradurre 123.123.123.123 in www.sito.it, un motivo ci dovrà pur essere.

David Weinberger allo IAB Forum 2007

Sono allo IAB Forum di Milano per assistere alla prima delle due giornate del convegno. Approfitto dell’inaspettata connessione per scrivere qualche veloce appunto sull’intervento di David Weinberger, che ho già avuto modo di incontrare lo scorso anno a Parigi (e l’intervento ricorda in alcuni punti proprio quella presentazione).

Aggiornamento del 13 Novembre 2007: sul sito della IAB sono presenti video e slide della presentazione di David Weinberger.

E la presentazione è sicuramente accattivante e ricca di pathos, anche se in alcuni elementi non mi sembra procedere secondo un chiaro filo logico. Ma sono stato rapito dai gesti, dalle smorfie e dalle urla di Weinberger sul palco, per cui la mia trascrizione risulta senza dubbio lacunosa e imprecisa.

Secondo Weinberger le sfide sono fondamentali nel mondo del marketing, perché le sfide introducono anche nuove possibilità di mercato. Possono in particolare diventare possibilità per coinvolgere e comportarsi nel modo “giusto” sia con il nostri clienti, con i nostri mercati.

Weinberger fa un paragone con la costruzione e l’ingegneria. Più grandi e complessi sono i progetti, maggiore è la necessità di controllo perché questi si concludano felicemente. Per questo si introducono i manager, poi i manager dei manager, poi i manager che controllano i manager di manager.

Visto che il Word Wide Web e complesso, quanti manager servono per tenerlo sotto controllo? Nessuno, eppure è una delle cose più importanti che abbiamo mai creato. E questo non è un caso, ma è stato fatto con coscienza. Il web è una “permission free zone”, nel bene e nel male. E va considerato che c’è un’intera generazione che sta crescendo nel web.

Quello che accade nell’attuale teoria economica è che dopo aver costruito il business lo difendiamo come se fosse un forte. Controlliamo attentamente le comunicazioni verso i clienti, gli diciamo non quello che vogliono sentirsi dire, ma quello che vogliamo dirgli. E lo chiamiamo marketing!

Internet però non ha barriere, non ha segreti. E questa situazione va a braccetto con il fatto che i clienti conoscono meglio i prodotti delle stesse aziende, perché parlano tra di loro, perché usano i prodotti.

Si dice che i mercati siano conversazioni, ma non ci sono mercati per i messaggi.

Il marketing a un certo punto diventa guerra: marketing campaign, targeted marketing, saturation marketing, stategic marketing, marketing penetration. E’ una spiacevole situazione.

Abbiamo così suddiviso i clienti in mercati, che però non sono reali. Pensiamo che chi appartiene allo stesso market sia suscettibile alle stesse scelte, ma ci siamo accorti che non è così. Abbiamo allora introdotto il concetto marketing centrato sulla persona, come se ogni utente fosse un mercato. Ma neanche questo è vero. In realtà quello che succede è che le persone parlano le une con le altre e formano tra di loro dei mercati, mercati basati su interessi comuni.

  • abbiamo conversazioni per il gusto di averle, conversazioni reali
  • nascono in modo volontario
  • sono “open ended”, non sono guidate verso particolari conclusioni, non sappiamo dove conducono

La vera sfida è quella di riuscire a coinvolgere i nostri clienti in queste conversazioni.

Weinberger parla di quando ha voluto comprare una lavatrice e si è collegato al sito del produttore, che contiene solo informazioni di vendita. In un forum di utenti ha però trovato personale qualificato, soprattutto un certo Jim, che rispondeva alle domande. Weinberger ha creduto a Jim e non all’azienda:

  1. perché scriveva con errori, era genuino
  2. perché era parte di una conversazione

La cosa interessante è che queste conversazioni minano il lavoro della pubblicità tradizionale, perché riescono ad andare molto oltre.

Weinberger affronta poi qualche argomento legato al suo libro. Abbiamo detto alle aziende che l’informazione è il cuore dell’azienda, la cosa più importante. Consci di questo, hanno fatto di tutto per proteggerla e per non condividerla verso l’esterno. Oggi però ci rendiamo conto che il vero valore aggiunto dell’informazione è poterla usare, derivare altre informazioni. E’ più importante potere aggregare le informazioni piuttosto che proteggerle.

Le informazioni dovrebbero essere presentate con chiarezza. Sarà chi poi le analizza che le potrà far diventare complesse: la gioia della complessità. E per quanto riguarda la credibilità? Come comportarci con servizi come Wikipedia? Ci fidiamo? Sì, perché Wikipedia pone chiaramente, con delle note, avvertimenti sulla qualità degli articoli (un articolo che contraddice un altro, informazioni e sorgenti non verificate, un articolo che contiene poubblicità, un articolo che use parole non chiare, un articolo che potrebbe non essere neutrale). In questo modo la credibilità di Wikipedia esiste, perché ammette di poter sbagliare. Ci dice, come lettori, che è dalla nostra parte, non sta cercando di dirci che è migliore degli altri.

Cosa possono fare quindi le aziende? Possono passarci la palla, come per esempio fa Amazon con le recensioni, perché la gente compra libri che le piacciono. Ma come entrare nella conversazione? Non basta essere trasparenti, chiari e onesti. Dobbiamo coltivare la conversazione con i nostri clienti, dobbiamo onorare la conversazione (“honor the conversation”).

Costruire comunità online

Imparare come pianificare, progettare, gestire, manutenere una comunità online grazie alla FAO, la Food and Agriculture Organization? Sì, possibile.

La FAO, grazie al progetto Imark, ha messo online un intero corso gratuito chiamato Building Electronic Communities and Networks in aiuto di quanti desiderano approfondire i concetti di comunità online, le professionalità richieste, i passi da seguire. L’occhio di riguardo è rivolto al mondo dell’agricultura, essendo FAO impegnata da anni in questi contesti, ma il ricchissimo materiale del corso aiuta chiunque sia alle prese con un progetto che necessiti dell’integrazione di una comunità, sia esso un weblog, una mailing list, un forum e quant’altro.

Il corso è strutturato e pensato davvero bene, e impiega al giusto modo la tecnologia web, Javascript e Flash per facilitare l’apprendimento. Ogni lezione è poi scaricabili e stampabile in formato PDF, così da formare un vero e proprio manuale di riferimento per chi si vuole interessare di questo mondo. E non vengono lesinati neppure link a risorse in rete di approfondimento.

Una risorsa davvero preziosa.