Tra gli interventi proposti quest’anno a Better Software ce ne sono alcuni che possono essere considerati un ideale completamento al mio “Guerrilla Web Project Management“. “Il project manager e lo sviluppo agile: separati in casa?“, di Jacopo Romei e Stefano Leli, è sicuramente uno di questi. Ecco alcune domande che ho rivolto a Jacopo Romei sul rapporto tra project management e agile.
Il titolo di uno dei workshop che terrai a Better Software è “Il project manager e lo sviluppo agile: separati in casa?”. Perché un project manager potrebbe temere l’introduzione di un approccio agile?
Perché in generale le persone amano lo status quo e un cambiamento utile all’azienda potrebbe essere visto come un pericolo per i propri obiettivi personali. Perché potrebbe non aver chiaro che un approccio anarchico non è l’unica alternativa ad un approccio “command & control”. Perché la funzione del management nello sviluppo agile è diversa da quello che decenni di ingegneria taylorista hanno saputo insegnarci, con successi enormi, ma anche disfunzionalità intrinseche che nel settore software diventano estremamente dannosi.
E quali potrebbero essere, invece, le ripercussioni positive sul suo lavoro?
L’adesione ad un modello di leadership più produttivo e solo in secondo luogo più… bello. Abilitando le persone che introducono il maggior valore nella filiera (sviluppatori, ma anche interaction designer, grafici, sistemisti…) a prendere decisioni tattiche in modo indipendente, il project manager può, per esempio, concentrarsi sulla strategia di portfolio e, solo un secondo esempio, sullo sviluppo di asset preziosi per una azienda software: i cervelli. Molte funzioni ritenute indispensabili del project manager tradizionale sono effettivamente disfunzionali da un punto di vista più sistemico. Il manager, concentrandosi sul flusso di valore e sulla rimozione degli impedimenti, può invece creare le condizioni per cui il team può produrre a livelli altrimenti impossibili e partecipare a questo successo.
Quali sono le principali difficoltà che incontra un project manager che decide ad avvicinarsi all’agile e come può essere aiutato a superarle?
La prima difficoltà è proprio a monte: molti project manager fraintendono la cultura agile. “Agile” non significa né “facile”, né “gratuito”, né “incasinato” né necessariamente “veloce”. Chi si avvicina allo sviluppo agile convinto che ci sarà meno lavoro da fare è completamente fuori strada. Chi invece entra nel mondo agile pronto a installare progressivamente un processo che faccia da cornice ad un miglioramento continuo, scoprirà che a parità di lavoro potrà ottenere molto di più. Per aiutare un project manager ad installare quel processo e a ritagliarlo sul proprio peculiare contesto io cerco sempre di partire attaccando il cosiddetto “wishful thinking“, il pensiero arbitrario. Cercare di basare le proprie analisi e decisioni sui fatti più che sulle percezioni è uno sforzo primario. Non tutto è misurabile numericamente, certo, ma quasi tutto può essere reso empiricamente evidente. Il mio sforzo principale all’inizio è quello di installare dei “manometri” di progetto e nel frattempo educare tutto il team a 2-3 concetti utilissimi, ma largamente ignorati, dell’ingegneria gestionale, tanto per ricordarci che non stiamo parlando di aria fritta: sapete quanti ingegneri hanno studiato la teoria delle code e non la usano mai più?
Jacopo è un coach agile oltre che sviluppatore, scrittore e cantante. È coautore, insieme a Francesco Trucchia, di Pro PHP Refactoring, pubblicato da Apress. E’ anche speaker a diverse conferenze italiane che parlano di agile e lean software development, oltre che uno degli organizzatori di Italian Agile Day, la principale conferenza italiana dedicata all’agile.