Se il lavoro cerca te

In Recruitment 2 ho parlato di come grazie ai social network ho trovato lavoro.

Nella presentazione, si tratta dell’anno scorso, ho anche riportato qualche numero: il 45% delle aziende statunitensi utilizzava i social network per svolgere ricerche su un candidato e il 35% ha affermato di aver trovato nei social network delle motivazioni per non procedere con l’assunzione.

A luglio di quest’anno Jobvite ha pubblicato un sondaggio aggiornato in cui si legge che l’80% delle aziende USA utilizza i social network per saperne di più sui candidati, mentre un’infografica di Reppler indica che il 69% delle aziende intervistate hanno deciso di non assumere il candidato.

I sondaggi vanno presi per quello che sono, ma non è difficile immaginare che la tendenza delle aziende sia di utilizzare sempre di più questi strumenti nel valutare le capacità di un candidato.

Quali sono i motivi che portano le aziende a non assumere? Sempre secondo il sondaggio, i principali sono legati all’aver trovato:

  • qualifiche non in linea con quelle espresse dal candidato;
  • commenti negativi sul datore di lavoro;
  • contenuti inappropriati (foto, commenti);
  • scarse capacità di comunicazione.

Ho avuto la fortuna in questi anni di svolgere il ruolo di esaminatore in diversi colloqui, sia per assumere programmatori, sia designer, sia project manager. Uso i social network, soprattutto Twitter e LinkedIn, per farmi un’idea di chi avrò di fronte.

Se fino a qualche anno fa l’errore più clamoroso che un candidato poteva fare prima di presentarsi a un colloquio era quello di consegnare un curriculum con dei refusi (o di spedirlo da un indirizzo di posta elettronica come cipollina85), adesso le cose sono cambiate. Ho trovato di tutto nei profili che mi sono messo a esaminare:

  • foto di LinkedIn in cui il candidato brandisce, sorridendo, un boccale di birra;
  • foto del proprio figlio (con qualche millimetro di spalla del genitore/candidato);
  • commento su Twitter, ma importato anche nel proprio profilo LinkedIn che recita “un altra giornata di merda” (qui si unisce efficacemente un’affermazione sul proprio lavoro poco opportuna a un errore grammaticale: due piccioni con una fava);
  • “lavoro, è già tanto…” nella bio di Twitter.

Bisogna prestare un po’ di attenzione. Questo non vuol dire che si deve evitare di scrivere quanto si stava bene in ferie o lamentarsi di una giornata storta, ma c’è forse un limite, soprattutto se il profilo è pubblico e accessibile da chiunque, anche alle aziende.

Per quanto riguarda le foto, andrebbe posta un po’ di cura almeno per quella che si usa in LinkedIn, altrimenti meglio lasciar stare. Nessuno pretende che sia la foto di un modello, ma magari non una con gli occhiali da sole in formato cinemascope (con le spalle scoperte e il mare in lontananza) o con il berretto di lana che copre gli occhi.

Come gestire efficacemente la propria presenza online? Se non avete tempo di vedere tutto il video della mia presentazione (dura 40 minuti), ecco un sunto:

  • Preoccupatevi della vostra immagine nei social network, perché anche se non ve ne preoccupate voi come candidati, lo faranno le aziende a cui vi rivolgete;
  • I social network permettono di entrare in contatto con una grossa fetta di figure professionali che normalmente non sono raggiungibili con i canali tradizionali, i cosiddetti “passivi”, cioè tutti quei professionisti che sono aperti a nuove opportunità di lavoro ma, poiché sono già impiegati, non si guardano più di tanto intorno;
  • Il social recruitment non è un momento temporalmente definito, quanto piuttosto un processo continuo che trova un sbocco magari quando non lo si aspetta;
  • Vale la pena darsi delle regole, cioè suddividere gli strumenti che si utilizzano per scopi professionali e quelli per il tempo libero. Avere bene in mente questa distinzione permette sia di definire delle politiche di privacy, sia di decidere le amicizie e connessioni per i diversi network in base all’uso;
  • Nei network professionali è bene accettare gli inviti solo da persone che si conoscono, personalmente o con cui si è avuto modo di comunicare in rete. Solo così si crea una rete di contatti veramente di valore.

Una newsletter è per sempre

Steve Jobs was originally obsessed with typography.

No, non si tratta dell’ennesimo tweet in ricordo di Steve Jobs, ma l’oggetto di una newsletter che AppSumo ha inviato lo scorso 6 ottobre, a poche ore dalla morte del CEO Apple.

Non ci sarebbe nulla di strano a cavalcare l’onda di santificazione che si è scatenata, se non fosse che in questo caso la passione di Steve Jobs è stata usata in maniera fin troppo esplicita per proporre l’abbonamento a un servizio di font.

Quando ho ricevuto l’email mi sono limitato a storcere il naso, ma a giudicare da quanto ho letto sull’utente Twitter di AppSumo, si è scatenata una piccola rivoluzione tra gli utenti del servizio che hanno trovato l’oggetto decisamente di cattivo gusto.

Noah Kagan di AppSumo è corso ai ripari informando che la newsletter era stata preparata giorni prima e che si sono dimenticati di intervenire in tempo per modificare l’oggetto. Non sta a me stabilire se questo sia vero (rimane comunque il fatto che Steve Jobs era gravemente malato da tempo, sicuramente prima che l’oggetto venisse scritto), ma lo trovo comunque un esempio significativo per sottolineare l’attenzione che va posta nel realizzare una newsletter.

La newsletter è uno strumento inviato nella casella di posta del destinatario e come tale assume un carattere personale, come se fosse stata forgiata esplicitamente per chi la sta leggendo, anche se così non è. Inoltre, quanto è stata inviata non c’è nulla più nulla da fare: non si può correggere il refuso scoperto nel frattempo, non si può allineare meglio l’immagine, non si può modificare il codice per sistemare la visualizzazione in quel particolare programma di posta. I giochi sono fatti.

Mi capita invece molto spesso di ricevere newsletter che sono evidentemente create troppo in fretta, con oggetti di dubbia utilità, ma anche con link di approfondimento che non funzionano, o che rimandano genericamente alla homepage del sito. E lasciamo stare l’argomento “annullamento iscrizione”, che quando c’è non è detto che effettivamente annulli.

La preparazione di newsletter è, invece, un’attività che va pensata con attenzione, proprio perché state in qualche modo invadendo la spazio privato della casella di posta elettronica di chi la riceverà.

E, giusto per non rimanere nel vago, ecco un esempio meno eclatante di quello di AppSumo che evidenzia come anche una newsletter a prima vista trasparente possa creare un po’ di malcontento in chi la riceve.

Qualche settimana fa insieme a un’agenzia con cui collaboro abbiamo deciso di inviare una newsletter agli iscritti invitandoli a ripensare la propria presenza online. Dopo aver valutato internamente alcune proposte, abbiamo scelto l’oggetto “Il tuo sito è per sempre?”.

Nel corpo dell’email è presente una bella immagine e il messaggio “Non hai sposato il tuo sito. Cambialo.”

Le statistiche hanno riportato un risultato molto buono: il 50% dei destinatari ha aperto la newsletter e di questi un altro 50% ha cliccato sul link per avere maggiori informazioni.

Eppure un paio di iscritti, i classici clienti “con cui si ha più confidenza”, hanno risposto di non aver apprezzato in pieno lo stile del messaggio. Forse non gli è piaciuto l’accostamento del matrimonio a un sito? O, più probabilmente, il fatto di averli in qualche modo invitati a divorziare da qualcosa? O forse ancora si sono domandati perché gli stiamo suggerendo di rottamare il sito: forse pensiamo che faccia schifo?

A posteriori avremmo forse cercato una frase meno ambigua. Ma non lo possiamo più fare: una newsletter è per sempre.

3 cose che ho imparato presentando con le slide

Non sono uno speaker di conferenze professionista: lo faccio nel mio tempo libero e solitamente non più di due volte all’anno. Ho comunque imparato alcune cose che vorrei condividere con voi. No, non sto dicendo di usare un approccio stile Presentation ZenSlide:ology perché, come è chiaro a chi ha partecipato a Better Software 2010, l’ultima conferenza dove ho parlato (di Recruitment 2.0), il 90% delle presentazioni già non usa più punti elenco a favore di foto e contenuti tersi. Mi sto riferendo invece a un piano di riserva nel caso qualcosa vada per il verso storto, ma anche per evitare incomprensioni con il pubblico. Ecco i miei suggerimenti:

  • Realizzate due diversi temi – Avete preparato le slide e le avete anche provate qualche giorno prima in ufficio (magari svegliandovi mezz’ora in anticipo così da non incrociare i colleghi). Quando salite sul palco notate però che la qualità delle lampade del proiettore è scarsa ed è difficile leggere i contrasti. Questo è un problema specialmente se la vostra presentazione non fa uso di punti elenco bianchi su sfondo nero (o viceversa) ma se contiene invece frasi posizionate in punti diversi o sovrapposte a delle foto. Il rischio è che gli “effetti speciali” su cui avete investito delle notti non siano visibili al pubblico e che non riescano quindi a comprendere appieno il vostro intervento. Preparate allora due diversi temi (potete usare sia Keynote sia Powerpoint) in modo che uno sia fortemente contrastato. Se, una volta saliti sul palco, vi accorgete che è difficile leggere le vostre slide, potete applicare con facilità il tema più contrastato. Certo, potete usare questo tema fin dal principio, ma se avete speso ore a rifinire le slide, la probabilità che l’effetto ad alto contrasto non vi soddisfi sono elevate. In questo modo, però, avete una strategia alternativa da usare solo se necessario. Inoltre, non dovete preparare due versioni ogni volta, perché una volta definito un tema che vi soddisfa, lo potete riutilizzare per qualunque presentazione.
  • Inserite il vostro username Twitter in ogni slide – Mentre ero sul palco a Better Software, il pubblico ha cominciato a inviare su Twitter estratti della presentazione. Sfortunatamente, un tweet conteneva lo username sbagliato (avolpon invece di AntonioVolpon) e i successivi retweet e nuovi tweet hanno per la maggior parte utilizzato lo username non esistente. Quindi, se potete, se la cosa non rovina il design delle vostre slide, riservate uno spazio in ogni slide dove inserire il vostro utente Twitter, e non limitatevi solo alla prima o all’ultima slide.
  • Se costruite una storia, aspettate il vostro pubblico – Sono un grande ammiratore di Made to Stick, e da quando l’ho letto cerco dove possibile di inserire una storia in ogni mia presentazione (a Better Software ho parlato delle mie diverse opportunità di lavoro, partendo dal servizio militare). State però attenti se la storia è un contenuto necessario per capire il resto della vostra presentazione. Se è così, e la vostra presentazione inizia dopo una pausa, o se il pubblico può scegliere tra diverse sessioni concorrenti (e quindi deve spostarsi di sala in sala) vi suggerisco di non inserire la storia nelle prime slide, ma di aspettare (ragionevolmente) che il pubblico sia entrato in sala.