Ancora su recruitment e social network

Dopo Se il lavoro cerca te segnalo altri due studi, pubblicati da Jobvite, relativi al rapporto tra social media e recruitment. Analizzano il mercato del lavoro americano, ma sono comunque indicativi dell’evoluzione di questa pratica.

Si tratta di 33 essential recruiting stats e Social Job Seeker Survey 2011. In breve:

  • il 55% delle aziende intervistate investirà più risorse nel prossimo anno per il recruiting con i social network
  • più dell’80% delle aziende utilizzano LinkedIn, ma poco più del 30% di chi cerca lavoro è in LinkedIn
  • l’89% delle aziende americane intervistate indica di voler utilizzare i social network come strumento per il recruiting
  • LinkedIn si conferma, con il 73%, il principale social network in termini di assunzioni, seguito da Facebook (20%) e Twitter (7%)
  • 2/3 delle aziende intervistate hanno assunto anche grazie ai social network

Sullo stesso tema anche due interessanti infografiche pubblicate da Mashable, la prima con qualche suggerimento su come proteggere e migliorare la presenza professionale online, la seconda riporta invece i risultati di un sondaggio rivolto ai selezionatori e al rapporto con i social network.

E parlando di statistiche e sondaggi, vi ricordo che anche quest’anno, come è ormai tradizione,  A List Apart ne prepara uno rivolto a chiunque lavori con il web. Partendo dai risultati del sondaggio, gli scorsi anni ho cercato di darne un’interpretazione per cercare di capire meglio la professione del web project management:

Una newsletter è per sempre

Steve Jobs was originally obsessed with typography.

No, non si tratta dell’ennesimo tweet in ricordo di Steve Jobs, ma l’oggetto di una newsletter che AppSumo ha inviato lo scorso 6 ottobre, a poche ore dalla morte del CEO Apple.

Non ci sarebbe nulla di strano a cavalcare l’onda di santificazione che si è scatenata, se non fosse che in questo caso la passione di Steve Jobs è stata usata in maniera fin troppo esplicita per proporre l’abbonamento a un servizio di font.

Quando ho ricevuto l’email mi sono limitato a storcere il naso, ma a giudicare da quanto ho letto sull’utente Twitter di AppSumo, si è scatenata una piccola rivoluzione tra gli utenti del servizio che hanno trovato l’oggetto decisamente di cattivo gusto.

Noah Kagan di AppSumo è corso ai ripari informando che la newsletter era stata preparata giorni prima e che si sono dimenticati di intervenire in tempo per modificare l’oggetto. Non sta a me stabilire se questo sia vero (rimane comunque il fatto che Steve Jobs era gravemente malato da tempo, sicuramente prima che l’oggetto venisse scritto), ma lo trovo comunque un esempio significativo per sottolineare l’attenzione che va posta nel realizzare una newsletter.

La newsletter è uno strumento inviato nella casella di posta del destinatario e come tale assume un carattere personale, come se fosse stata forgiata esplicitamente per chi la sta leggendo, anche se così non è. Inoltre, quanto è stata inviata non c’è nulla più nulla da fare: non si può correggere il refuso scoperto nel frattempo, non si può allineare meglio l’immagine, non si può modificare il codice per sistemare la visualizzazione in quel particolare programma di posta. I giochi sono fatti.

Mi capita invece molto spesso di ricevere newsletter che sono evidentemente create troppo in fretta, con oggetti di dubbia utilità, ma anche con link di approfondimento che non funzionano, o che rimandano genericamente alla homepage del sito. E lasciamo stare l’argomento “annullamento iscrizione”, che quando c’è non è detto che effettivamente annulli.

La preparazione di newsletter è, invece, un’attività che va pensata con attenzione, proprio perché state in qualche modo invadendo la spazio privato della casella di posta elettronica di chi la riceverà.

E, giusto per non rimanere nel vago, ecco un esempio meno eclatante di quello di AppSumo che evidenzia come anche una newsletter a prima vista trasparente possa creare un po’ di malcontento in chi la riceve.

Qualche settimana fa insieme a un’agenzia con cui collaboro abbiamo deciso di inviare una newsletter agli iscritti invitandoli a ripensare la propria presenza online. Dopo aver valutato internamente alcune proposte, abbiamo scelto l’oggetto “Il tuo sito è per sempre?”.

Nel corpo dell’email è presente una bella immagine e il messaggio “Non hai sposato il tuo sito. Cambialo.”

Le statistiche hanno riportato un risultato molto buono: il 50% dei destinatari ha aperto la newsletter e di questi un altro 50% ha cliccato sul link per avere maggiori informazioni.

Eppure un paio di iscritti, i classici clienti “con cui si ha più confidenza”, hanno risposto di non aver apprezzato in pieno lo stile del messaggio. Forse non gli è piaciuto l’accostamento del matrimonio a un sito? O, più probabilmente, il fatto di averli in qualche modo invitati a divorziare da qualcosa? O forse ancora si sono domandati perché gli stiamo suggerendo di rottamare il sito: forse pensiamo che faccia schifo?

A posteriori avremmo forse cercato una frase meno ambigua. Ma non lo possiamo più fare: una newsletter è per sempre.

Quanto lavoriamo

Il Web Design Survey 2010 di A List Apart che ho analizzato qualche giorno fa contiene anche una sezione di statistiche dedicate alle ore lavorate in una settimana.

Tra i diversi grafici (suddivisi per età, sesso, tipo di organizzazione), ne manca però uno relativo alla distribuzione per titolo professionale. Partendo dai dati grezzi a disposizione, ho ricostruito questo grafico.

Si nota subito che la maggior parte dei lavoratori, indipendentemente dal titolo professionale, lavora tra le 40 e le 49 ore. In generale la distribuzione avviene quasi tutta in questo intervallo e in quelli immediatamente precedente e successivo, cioè nella fascia 30-59 ore, come era forse lecito aspettarsi.

Avrei forse preferito una suddivisione diversa nel questionario, per esempio 31-40 invece di 30-39: chi lavora le canoniche 40 ore settimanali avrà scelto l’intervallo 40-49, che avrei dedicato a chi fa qualche straordinario.

Tra le professioni che indicano di lavorare più ore (fascia 40+) troviamo il creative director, l’art director, il web director, l’usability expert e il project manager. Questo dato, se analizzato insieme alla distribuzione per luogo di lavoro, indica che chi lavora più ore è generalmente un dipendente piuttosto che un libero professionista.

E’ interessante paragonare questo dato con i risultati di un sondaggio condotto su un campione di freelance da Elance e pubblicato da Freshbooks e che sembra in qualche modo confermare quanto emerso.