L’eredità di Small Pieces Loosely Joined

Come ho detto dal Le Web 3 di Parigi, l’intervento che forse mi ha colpito di più, indipendentemente dalla sua durata (appena 15 minuti), è stato quello di David Weinberger.

Considero Small Pieces Loosely Joined (Arcipelago Web in italiano), il libro che ha scritto nel lontano (per i tempi web) 2002, una sorta di manifesto del web 2.0. Mi ricordo di averlo acquistato una mattina, per caso, trovandolo in super-svendita in un Autogrill mentre guidavo verso Rimini per lavoro. Da allora è nello scaffale dei testi da ispirazione.

Mi ricordo che quando Tim O’Reilly (quello che ha coniato il termine web 2.0 e fondatore dell’omonima casa editrice) nel suo blog ha chiesto mesi fa ai lettori quali sono i migliori libri del “web 2.0”, gli ho proposto proprio Small Pieces Loosely Joined. Ma Tim non ha gradito e non ha mai pubblicato il mio commento, forse perché gli interessava che si parlasse dei nuovi libri che O’Reilly continua a produrre, molti privi di significato.

Eppure ci sono begli spunti, che ho via via sottolineato in quel testo, alcuni dei quali riporto qui come elenco puntato.

Se siete interessati a comprare il libro, comunque, tenete conto che lo trovate come remainder in molte librerie, come per esempio su BOL.

Ecco alcuni dei punti segnati nella mia copia:

  • Il web infrange il modello tradizionale di redazione e pubblicazione dei documenti, quello incentrato sul controllo
  • Il web unisce in un modo nuovo non semplicemente le pagine di un libro, ma gli esseri umani, tutti noi. Gli “isolotti del’arcipelago web” in realtà siamo noi, che stiamo unendoci gli uni agli altri in modo ancora da inventare, ma chiaramente labili e flessibili
  • sono tra coloro che credono che possiamo essere individui solo in quanto membri di un gruppo
  • sul web riscriviamo noi stessi, ascoltando voci che ci sorprende scoprire nostre[…]Entriamo in contatto con nuovi lati della nostra personalità
  • il web è intrinsecamente un organismo non gestito, e questa caratteristica è risultata uno dei fattori decisivi del suo successo
  • lo spazio del web è infinito nel senso che si può sempre trovare posto, ma non è infinitamente esteso; non è un contenitore in attesa di essere riempito, ma piuttosto un libro che si sta scrivendo
  • la distanza sul web è misurata dai link, per cui per rendere un sito “vicino” ai propri clienti bisogna far sì che vi siano molto luoghi da cui sia possibile accedervi. E come è possibile farlo? Rendendolo valido e interessante
  • sul web la vera capacità di trattenere i visitatori non deriva dalla scomodità, ma dall’interesse
  • sul web tutti saranno famosi per 15 persone [altro che per 15Mbyte, come diceva quella di Google al Le Web 3 non facendo ridere nessuno!]

Potrei continuare, ma termino con un punto per chi si chiede come mai vada di moda apporre il suffisso beta a ogni prodotto che gira sul web: “La rete avrà sempre qualcosa che non funziona. E’ una decisione progettuale”.

Il business nell’era del web 2.0

Al Le Web 3 di Parigi si è cercato di parlare dei criteri di sostenibilità dei progetti web 2.0, cioè da dove trarre introiti e profitti, ma l’intervento che discuteva di questi concetti si è concluso con qualche vaga indicazione sulla pubblicità e poco più.

Decisamente più interessanti, sono invece un paio di interventi apparsi qualche tempo fa sul web 2.0 journal, “Profitably Running an Online Business in the Web 2.0 Era” e “Struggling to Monetize Web 2.0“, scritti da Dion Hinchcliffe.

Secondo Hinchcliffe siamo in una fase in cui chi parte a progettare uno di questi servizi mira prima di tutto a farsi acquisire dai big, Yahoo! e Google per primi, oppure ha in testa qualche vaga strategia pubblicitaria. Ma il problema principale da risolvere è cercare di capire come riuscire a realizzare un business con prodotti il cui valore aggiuntoè dato dal contenuto creato dagli utenti che lo utilizzano. Riuscire a coinvolgere un buon numero di utenti non si traduce infatti automaticamente in rendite maggiori.

Si possono oggi individuare fondamentalmente 3 strategie di business:

  • pubblicità e sponsorizzazioni, ovvero inserzioni in stile Adsense o banner e contratti diretti con gli inserzionisti. Secondo Hinchcliffe si tatta di una strategia debole, con pochi ritorni
  • sottoscrizioni, cioè pagare per utilizzare alcuni servizi online, come i prodotti di 37 signals o la versione pro di Flickr. Qui ci potrebbe essere qualche segnale incoraggiante nel prossimo anno
  • commissioni per transazioni, come per esempio il business di Ebay. Anche questo potrebbe essere un terreno molto fertile in futuro

La conclusione non è comunque delle più rosee: deve essere ancora pensato qualcosa di alternativo a queste 3 strategie, perché esistono numerosi progetti a cui nessuna di questa strategie può essere applicata efficacemente. E’ il caso di del.icio.us, in cui l’inserimento di pubblicità allontanerebbe gli utenti, così come la versione a pagamento.

Esistono poi alcuni metodi più o meno indiretti che possono aiutare a far crescere un progetto 2.0, in termini di:

  • capitale
  • numero di utenti
  • capacità di resistere alla concorrenza

La strada che porta a questo, secondo Hinchcliffe , passa per acquisizioni strategiche, la capacità di costruire un rapporto di fiducia con i propri utenti, e il passaggio da applicazione “standard” a piattaforma attraverso il rilascio di opportune interfacce a API. Amazon in questo caso è un vero e proprio caso di successo.

Barcamp Rome: boh!

Ha senso fare 3 ore di macchina, 10 di treno, arrivare a casa alle tre di notte per andare al Barcamp di Roma? Questo mi chiedevo Venerdì mentre uscivo dall’ufficio e adesso, a posteriori, un’idea me la sono fatta. No, non ne valeva la pena.

Presentazioni alquanto scialbe (e ritrite, alcune erano fotocopie di interventi già mediocri ascoltati a Ottobre allo SMAU), organizzazione mediocre (a parte per gli amaretti e il salame di cui ringrazio), poche novità o spunti che ho trovato interessante discutere. E troppe, troppe facce assonnate di chi passa 18 ore davanti a un monitor: brutto segno.
L’impressione è che chi parla dal pulpito sia convinto di rivolgersi alla massaia o al panettiere, mentre ha di fronte qualcuno che molte volte ne sa quanto lui, o di più. Per favore, basta con le premesse da quarti d’ora la prossima volta.